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COVID e le “TRE ETA’ DELL’UOMO” | Studio Bonzanigo 11
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Secondo i dati del report periodico dell’Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità (aggiornato al 4 novembre 2020), l’età media dei pazienti deceduti e positivi  a SARS-CoV-2 è 80 anni  (età mediane : donne 85 – uomini 79). Gli effetti più gravi sulla salute fisica, quindi , di questa pandemia ricadono principalmente sugli anziani. Non si può dire lo stesso per l’impatto psicologico causato dalla malattia e dalle misure di restrizione atte a contenere la pandemia , esso infatti appare da tanti punti di vista trasversale alle varie fasce di età della popolazione.

TERZA ETA’

Gli anziani sono più esposti al serio rischio di ammalarsi e di morire a causa del Covid-19. Le patologie croniche pregresse, di cui spesso soffrono,  ( ipertensione, diabete, problemi cardiaci etc) concorrono a rendere più vulnerabile questa fascia di popolazione di fronte agli effetti nefasti dell’infezione.

La paura di morire è sicuramente preminente: c’è un reale rischio e questa consapevolezza non può che creare ansia, angoscia e in alcuni casi vero e proprio panico. Accanto al timore di perdere la vita troviamo anche il timore di essere sottoposti ai trattamenti di supporto alla respirazione, alcuni anche molto invasivi: maschere facciali, casco per la ventilazione assistita e l’intubazione. Il disagio fisico che queste necessarie terapie comportano, provoca spesso nei pazienti anziani un’intensa paura di soffrire, che per alcune persone non è meno intensa del timore per la propria vita.

Inoltre, anche nei casi in cui si ha la fortuna di non entrare in contatto con il virus, le persone più anziane devono spesso fare i conti con il sentimento di solitudine e la mancanza dei propri famigliari. Un esempio fra tanti: l’indispensabile lockdown della primavera 2020 ha, per quasi due mesi, impedito a molti figli e nipoti di far visita ai propri anziani genitori e nonni. A tal proposito il “Magazine” (del 18/09/2020) della Fondazione Umberto Veronesi riporta come il lockdown abbia determinato un peggioramento dei disturbi comportamentali nei pazienti affetti da una  demenza e di come la riduzione degli stimoli emotivi, sociali e fisici, abbiano rappresentato un detonatore per l’incremento dei disturbi neuropsichiatrici nei soggetti più anziani. 

Le misure di allontanamento e distanziamento mettono sì in sicurezza questa fascia della popolazione, ponendola ulteriormente al riparo dalla malattia, ma acuiscono il disagio psicologico e la sofferenza emotiva che il protrarsi della situazione di isolamento necessariamente comporta.   

ETA’ ADULTA

Con il termine “età adulta” si fa riferimento ad un’ampia fascia della popolazione (25-65 anni).

Per quanto riguarda gli adulti over 40 è possibile trovare delle similitudini con le ricadute emotive che la pandemia ha e ha avuto sugli anziani. Sebbene il rischio di vita sia notevolmente inferiore, la possibilità di contrarre il virus in forma sintomatica anche grave è comunque frequente. La sensazione di pericolo, l’insicurezza, la paura del ricovero, della sofferenza fisica e della solitudine  sono emozioni e vissuti che emergono anche fra gli adulti “più maturi”. I giovani di fatto rischiano meno, seppur non siano indenni del tutto, l’esperienza del ricovero e di essere sottoposti ai trattamenti di supporto alla respirazione.

Il vissuto peculiare, invece, di questa fascia d’età ha sicuramente più a che fare con il lavoro e le gravi ripercussioni che la pandemia e le misure di restrizione stanno avendo sul sistema economico in generale. I giovani non vedono prospettive future, percepiscono allontanarsi notevolmente la loro possibilità di realizzarsi professionalmente e di essere autonomi finanziariamente. Questa situazione non può che generare in loro vissuti caratterizzati da ansia, senso di impotenza e insicurezza

 Chi , al contrario, ha già un’attività avviata in proprio (ristorazione , commercio, studi professionali etc) o è dipendente in qualche azienda privata, può correre il serio rischio di perdere il lavoro e di veder vanificati gli sforzi di una vita.  La perdita del lavoro comporta, oltre al danno finanziario, la privazione di un proprio status sociale, (status che contribuisce generalmente al mantenimento di una buona salute mentale) che può avere forti contraccolpi anche a livello della propria identità. Infatti, questa precarietà può costituire una minaccia per l’integrità dell’immagine di sé, poiché è anche attraverso una condizione lavorativa stabile e soddisfacente che l’identità di un individuo si costruisce , si afferma e si mantiene.  Sentimenti di inutilità, la vergogna di domandare indennità allo Stato, forme di isolamento e ritiro sociale possono configurare il rischio di sviluppare importanti quadri depressivi, vissuti di frustrazione possono alimentare sentimenti di rabbia e nei casi più gravi anche sfociare in comportamenti aggressivi auto o etero-diretti.

Non a caso, quando chiesero a Freud , durante un’intervista, di sintetizzare la sua ricetta per difendersi dai mali oscuri che affiorano dal profondo, lui rispose “Lieben und arbeiten”, cioè il benessere dell’uomo si misura dalla sua capacità di amare e lavorare.

GIOVANE ETA’

Questa fascia di età è sicuramente, a parte rari casi, la meno esposta agli effetti diretti della malattia da Covid-19, piuttosto è quella che soffre di più per gli indiretti, cioè per le misure di sicurezza e contenimento della pandemia (distanziamento sociale, chiusura di locali, scuole etc..). Durante il lockdown lo stress ha avuto ripercussioni importanti sulla salute emozionale e psichica dei ragazzi e dei bambini, è quanto evidenzia l’indagine sull’impatto psicologico della pandemia Covid-19 nelle famiglie in Italia promossa dall’I.r.c.c.s. Gaslini di Genova. Dall’analisi dei risultati è emerso che i disturbi più frequenti di cui hanno sofferto i bambini sotto i 6 anni sono stati: aumento irritabilità, disturbi del sonno e d’ansia (inquietudine, ansia da separazione). Dai 6-18 anni hanno accusato una sensazione di mancanza d’aria, alterazione del ritmo del sonno e aumentata instabilità emotiva.

Per gli adolescenti il gruppo è il luogo principale di riferimento sociale, il rapporto con l’altro rappresenta un fattore essenziale per la crescita sentimentale  e per la ricerca e definizione del proprio Io. Le amicizie sono punti di riferimento e sostegno nella definizione di sé e della propria identità. Partendo da tali presupposti emerge chiaramente quanto disagio può arrecare ad un ragazzo il confinamento fra le mura domestiche. La tecnologia può essere una risorsa positiva creando momenti di condivisione per mezzo di videochiamate con gli amici, videogiochi online etc., è possibile tuttavia che essa assuma una caratteristica di ulteriore alienazione e dipendenza. Il non poter più frequentare ambienti di socializzazione, come la scuola, i parchi, le palestre può portare i ragazzi a vivere sempre di più sentimenti di noia, apatia e vuoto.

Anche per i bambini è possibile fare un discorso simile, sebbene, a differenza che per gli adolescenti, l’ambiente casalingo e famigliare sia ancora il punto di riferimento più importante,  anche loro hanno perso punti di appoggio sociale quali i maestri,  gli amici, i nonni e gli allenatori. Le uniche persone con cui si potevano interfacciare durante il lockdown della primavera 2020, erano in gran parte esclusivamente i genitori, a loro volta gravati da paure e incertezze sanitarie ed anche economiche. Il sistema famiglia si è progressivamente caratterizzato da aspetti di vulnerabilità e fragilità.

Non è da sottovalutare, inoltre, l’impatto emotivo che ha avuto sui bambini il troncare i percorsi scolastici nel febbraio 2020, senza la possibilità di un saluto o di essere gradualmente aiutati ad affrontare il cambiamento e la separazione dai propri amici/compagni. In alcuni casi si sono ritrovati catapultati a Settembre in un nuovo ambiente fisico e sociale senza aver avuto il tempo sufficiente per elaborare la fine dell’esperienza scolastica precedente (passaggio asilo nido/materna, materna/elementari, elementari/medie).

Per quanto riguarda la DAD, se da una parte è un utile strumento per mantenere sia un canale di contatto e continuità con le relazioni abituali sia il necessario impegno dedicato all’apprendimento, d’altro la dimensione digitale, prolungata, non può essere considerata sostitutiva ed alternativa ai processi di apprendimento “in presenza”, mediata dal corpo ,dalle esperienze ed emozioni.

Per entrambi adolescenti e bambini, la costrizione all’interno del solo ambiente domestico ha assunto, e in parte lo è tutt’ora, la dimensione emotiva del vuoto, mancanza, noia e oppressione.

Oggi è certamente prioritario porre in essere tutte le misure atte a tutelare la salute fisica delle persone (distanziamento sociale, lockdown etc etc). Sarebbe auspicabile tuttavia, porre attenzione  alle diverse forme di ferite emotive causate da una condizione di pandemia così grave e duratura, tanto da poter essere a tutti gli effetti definita traumatica ( non per nulla in greco “ferita” si traduce τραῦμα – trauma), e che possono avere importanti ricadute sulla salute mentale delle persone, continuando a generare in loro sofferenza , anche una volta sconfitto il virus.

Esse necessitano e necessiteranno di un adeguato riconoscimento, sostegno e, ove necessario, cura.

Dott.ssa Elena D’Alfio

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