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Il dolore di "Pensare" | Studio Bonzanigo 11

Il presente articolo prende le sue mosse dall’esperienza dello scrivente con il mondo della disabilità, che pone inequivocabilmente in contatto con le parti più fragili e più bisognose di attenzioni della società, ma che rispecchiano più di quanto si sia coscienti situazioni nelle quali si potrebbe trovare ciascun individuo supposto “normale”.

Facendo riferimento al suddetto mondo non possono non venire in mente i concetti, attualmente spesso utilizzati, di “uguaglianza” e “inclusione”, che informano sia l’operato del legislatore che ormai tutto il sistema scuola e non solo. Infatti, nonostante non si possa dire che questi concetti siano sempre applicati concretamente, va riportato come ad oggi siano numerosi i passi avanti effettuati in termini giuridici e forse anche culturali (Viola, 2015).

Si potrebbe quindi affermare, soprattutto in ambito giuridico, che vi sia stata un’effettiva evoluzione di ciò che concerne il riconoscimento di diritti, e questo non solo dei soggetti disabili; d’altronde sono sempre di più le fondazioni, associazioni o enti che nascono con lo scopo in primis di tutelare i diritti e poi anche di fornire servizi alle più svariate minoranze.

Se ci si sofferma su quanto appena detto, l’impressione è che, allargando il focus anche oltre al mondo della disabilità, vi sia una grande attenzione alla soggettività, cioè all’individuo nella sua specificità. In effetti è ormai da almeno circa un cinquantennio che si può cogliere nel contesto socioculturale che abitiamo la sensazione di vivere comunque più in uno stato di diritto che di doveri. Forse riflettendo sulla stessa situazione attuale, nella quale numerose sono state le restrizioni e i vincoli in virtù del protrarsi dell’emergenza pandemica, si potrebbe inferire che gli attriti emersi a più riprese derivino proprio da un conflitto tra il richiamo alla responsabilità, al senso del dovere (anche civico) e la difesa dei propri diritti.

D’altro canto diversi autori psicoanalitici parlano di un tramonto edipico a favore di un’era narcisistica (AA.VV., 2008; Recalcati, 2011), tra le cui conseguenze si può anche annoverare quanto sinora detto a proposito di diritti e doveri.

Ciò su cui ci si interroga però è se tali movimenti socioculturali e la stessa dimensione nella quale viviamo, in cui la specifica individualità sembra essere curata e tutelata, siano effettivamente sempre favorevoli allo sviluppo della suddetta soggettività.

Anche allontanandosi da quanto concerne la tematica del welfare pubblico o privato ed accostandosi al puro intrattenimento non si può non cogliere come l’esperienza proposta dall’ormai sempre più complesso mondo multimediale, tra cui tv, tv on demand e internet, sia comunque qualcosa di estremamente variegato; l’offerta è infatti estremamente ampia e sembra coprire un panorama vastissimo.

Si potrebbe quasi arrivare a dire che sia impossibile non trovare qualcosa che possa interessare, come se qualcuno avesse pensato ad ognuno e ai suoi gusti in maniera specifica. Anche in quest’ambito si respira l’idea di una grande attenzione per l’individualità di ognuno, ma al contempo non si può non notare come tale modalità sembri saturare incredibilmente l’ambiente ed infantilizzare l’utente, si potrebbe fantasticare che qualcuno (in questo caso specifico le aziende che si occupano di Entertainment) abbia assunto un ruolo genitoriale pensando un po’ a tutto ciò che può interessare l’utente interlocutore.

In effetti sembra proprio che l’attenzione alla soggettività pervada costantemente i contesti nei quali ci muoviamo dando l’idea che qualcuno non abbia solo pensato a ciascuno, ma metta anche a disposizione ricette ad hoc che permettono in alcuni casi di saper cosa fare allo scopo di divertirsi, saper cosa fare nei momenti di difficoltà, saper cosa fare se succede qualcosa di imprevisto in una situazione in cui le nostre competenze non sono chiaramente sviluppate perché non è magari il nostro ambito professionale, ad esempio. Infatti è difficile trovare ad oggi qualcuno che non abbia sentito la parola “tutorial”, e non ne abbia mai concretamente usufruito.

Nella società odierna della fibra ottica, dell’alta velocità, soluzioni rapide, la cui efficacia ha comunque una validità, seppur non universale, sicuramente agevolano nella risoluzione di alcuni ostacoli quotidiani, ma il quesito dello scrivente è se tale modalità così in auge in alcuni frangenti non possa anche, se iperinvestita, precludere la possibilità di pensare e quindi di apprendere realmente qualcosa in più.

La stessa soggettività, la cui espressione sembra ad oggi essere tutelata, non viene in qualche modo limitata se si pensa ad esempio a come i social, utilizzando i feed che si lasciano online, propongano nei loro spazi pubblicitari o semplicemente nello scorrere dei post, quanto abbiamo già visto in precedenza?!

Gli algoritmi che permettono a Google o Facebook di svolgere una sorta di rispecchiamento abbastanza sterile, che non fa altro che ricordare all’utente quelli che sono i suoi gusti o le sue tendenze, se da una parte possono fornire un’esperienza rassicurante, dall’altra finiscono con il limitare il panorama e precludere all’individuo esperienze diverse (Sgobba, 2020). Talvolta sembra quindi che la succitata attività di tutoraggio esiti in una sorta di anticipazione dei bisogni dell’utente precludendone il pensiero.

Affinché sia possibile pensare, è necessario che il bisogno del soggetto si confronti con il limite e la mancanza all’interno di una relazione, se non si riesce a tollerare questa esperienza dolorosa diviene difficile poter accedere alla creatività, vera espressione di una soggettività dotata di agency.

(Bion, 1967; Blandino, 2009; Lacan, 1956-57)

Tornando all’incipit di questo articolo, e dunque al mondo della disabilità, è quanto meno opportuno poter contare sulla tutela giuridica dei diritti, ma non meno importante, non solo per i soggetti disabili, ma soprattutto per i loro caregiver, poter contare su spazi relazionali nei quali sviluppare un pensiero, che però non sia figlio di fredde intellettualizzazioni, ma che sia connesso al mondo delle emozioni. Tale è e dovrebbe essere uno degli scopi di una psicoterapia psicoanaliticamente orientata.

Spesso ci si chiede quale possa essere la soluzione ad alcuni problemi e molto semplicisticamente si pensa che uno psicoterapeuta possa fornirla. In realtà il terapeuta non dispensa prescrizioni sostituendosi al paziente nel vivere la sua vita e anche altrettanto poco opportuni sono eventuali scimmiottamenti da parte del paziente rispetto a scelte di campo del terapeuta stesso, ma ciò che può fare uno psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico è aiutare il paziente a sviluppare la propria capacità di pensare attingendo da quel ricco patrimonio rappresentato dalle sue esperienze sensoriali, emotive e mentali.

Dott. Francesco Ventrella

BIBLIOGRAFIA

AA.VV. (2008). Atti del Convegno “Dalla mente di Edipo al volto di Narciso?”, Torino 2008. Bergasse 19. Cultura e cura psicoanalitica. Torino: Ananke Edizioni, 2009.

Bion W. R. (1967). Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma: Armando Editore, 1970 (edizione italiana).

Blandino G. (2009). Psicologia come funzione della mente. Paradigmi psicodinamici per le professioni d’aiuto. Torino: Utet Edizioni.

Lacan J. (1956-57). Il seminario, Libro IV, La relazione d’oggetto. Torino: Einaudi, 1996 (edizione italiana).

Recalcati M. (2011). Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Sgobba A. (2020). La società della fiducia. Da Platone a Instagram. Milano: Il Saggiatore Edizioni.

Viola D. (2015). La disabilità intellettiva. Aspetti clinici, riabilitativi e sociali. Milano: Edizioni FS.

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