Panoramica sul Congresso “The Infantile, Vancouver 2021” I parte
Per provare a dare un assaggio del Congresso partirei dalle parole delle due presidentesse IPA che “virtualmente” si passavano il testimone.
Virginia Ungar nella cerimonia di chiusura ha detto:
“L’infantile è una forza viva, è una risorsa di creatività, significa essere aperti al nuovo e portare avanti una speranza di fronte alle difficoltà”.
“Questo congresso ON-LINE è stato un successo perché grazie alla tecnologia siamo stati un esempio di capacità infantile nel far fronte alle difficoltà provocate dalla Pandemia ed è stato possibile sentire un’atmosfera di vicinanza, intimità e rispetto reciproco nonostante fossimo lontani e ubicati nei quattro angoli del mondo”.
Il discorso di Harriet Wolfe nel raccogliere il testimone dalla Ungar sarà centrato su come la psicoanalisi possa aiutare anche la comunità. La sensazione è che stiamo entrando in una nuova era di eventi e forse dovremo abituarci.
I dati sull’attendance del Congresso possono essere collegati a uno dei temi, a mio avviso, più innovativi trattati: la crisi climatica e ambientale.
Dal panel “Climate Crisis” tenuto da Sally Weintrobe e Habibi-Kohlen Deleram emergono nuove e inaspettate motivazioni che spingono per una consultazione psicoanalitica: uomini e donne angosciati perché combattuti tra il desiderio di avere figli ma spaventati dal non vederne il futuro; genitori che portano i bimbi per un assesment perché hanno l’ansia che il mondo finirà nel 2050; persone che soffrono di angosce notturne per le tragedie legate al Climate Change quali inondazioni, siccità, inquinamento atmosferico, cicloni, migrazioni e incendi.
Un recente sondaggio ha riportato che il 40% dei giovani e degli adulti esprime dubbi sull’opportunità o meno di avere figli proprio a causa di queste ansie.
Il problema che questi temiportano non è solo la l’angoscia ma anche l’impotenza nel confronto con chi nega tale emergenza; per cui si cercano analisti che abbiano una “consapevolezza climatica”.
L’analista sarà in grado di impegnarsi empaticamente nel tentativo di comprendere il mondo come lo vede il suo paziente? Come potrà sopportare lui stesso la medesima angoscia?
Irma Brenman Pick ha riflettuto sul fatto che una posizione depressiva non sia adeguata a descrivere l’elaborazione delle realtà attuali che stiamo vivendo ma che abbiamo bisogno di concettualizzare una posizione tragica. A tal proposito ha affermato: “La tragedia è che le difese usate come negazione per evitare il dolore della conoscenza di fatto aumentano e intensificano il dolore stesso che viene evitato”.
L’apporto concreto della psicoanalisi al dibattito sul Climate Change può essere suddiviso in tre piani:
- Il lavoro clinico, di analisi e ricerca negli studi. Per rimanere sensibili alle persone, in particolare ai giovani che sopporteranno il peso della crisi climatica, dobbiamo restare vigili e valutare se il nostro setting sia diventato un ritiro psichico dalla realtà climatica. Non possiamo risparmiare ai nostri pazienti il dolore di affrontare l’emergenza climatica, ma potremmo essere in grado di aiutarli meglio se comprendiamo noi stessi gli impatti avvertiti di quell’emergenza. E possiamo farlo solo intraprendendo il difficile lavoro di diventare noi maggiormente consapevoli del problema.
- Il contributo sociale degli psicoanalisti stessi che possono tenere conferenze sul clima e avere una attività pubblica e politica in favore di questa battaglia vitale. La coppia nella stanza della terapia, come in ogni triangolazione edipica, è già inserita nella cultura, nella politica e nell’ecologia. L’analista che dimentica o sceglie di ignorare ciò rischia di trasformare lo stesso setting analitico in una forma di ritiro psichico dalla realtà. Dobbiamo essere attenti ai pericoli di presentare un orecchio sordo e un occhio cieco alle ansie dei nostri pazienti che possono comportare un vortice di fattori esterni e interni.
- Il supporto ai media che hanno bisogno di comprendere quali meccanismi di difesa (diniego principalmente) i gruppi utilizzano e come migliorare la comunicazione in modo da allentare queste paure e permettere alle persone un reale cambiamento comportamentale. Come analisti abbiamo familiarità con le inevitabili ansie che derivano dalla nostra fragilità umana e sappiamo che le persone usano le difese della posizione schizo-paranoide per aiutarsi a gestirle. Una lente che ho trovato utile è quella dello Human exceptionalism,cioè il paradigma secondo il quale l’essere umano non ha bisogno di una connessione con il mondo naturale o animale. Secondo questa fantasia inconscia l’essere umano con la sua intelligenza e la sua tecnologia potrà risolvere ogni tipo di problema. Una tale visione antropocentrica potrebbe derivare da millenni in cui l’uomo è stato in completa sudditanza della natura e oggi può inconsciamente vendicarsi, distruggendo la madre terra da cui è stato dipendente? Forse il “nostro” Fornari aveva già in qualche modo anticipato questa visione.
Davide Rosso – Torino