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Sul Tradimento | Studio Bonzanigo 11

Pensare al tradimento significa toccare nuclei cocenti della nostra emotività.

Che si tratti di tradimento reale, presunto o fantasticato, il solo pensiero è in grado di turbarci, di scombussolare le nostre percezioni, talvolta di guidare le nostre azioni nella maniera più disparata (e disperata) e, spesso, irrazionale.

Chabrol rende bene questa situazione complessa attraverso il suo film “l’Inferno” (1994), in cui l’idillio di un progetto familiare nascente viene gradualmente corrotto dalle ossessioni di Paul, che si lascia consumare dalla convinzione gelosa che la moglie Nelly lo tradisca.

Ma il pensiero disturbante del tradimento non riguarda solo quello subito, ma anche quello perpetrato, non riguarda solo il tradito, ma anche il traditore. Un vortice che risucchia entrambi verso una singolarità che può avere esiti nefasti per ciascuno, mortificando, se non il corpo, quantomeno la psiche e la vita emotiva, soprattutto se non sufficientemente elaborato, significato ed integrato nella narrazione esistenziale di chi si è trovato coinvolto nella vicenda.

D’altronde, l’esempio più iconico del tradimento permea la nostra cultura occidentale da secoli, mostrando, al di là delle interpretazioni teologiche, l’effetto drammatico del tradimento: Giuda tradisce Gesù che, a causa di ciò, muore sulla croce ma, al contempo, il tradimento porta anche alla morte di giuda, che si toglie la vita impiccandosi (o squarciandosi, a seconda delle versioni).

Tradito e traditore, quindi, vengono accomunati da uno stesso destino, la morte, e gli effetti del tradimento vengono crudamente esplicitati nel racconto sacro: il tradimento inchioda, il tradimento soffoca, il tradimento squarcia.

Alla stregua di un vero e proprio trauma, rischia di polarizzare le esistenze di chi ne è coinvolto fino a spegnerne quasi del tutto la spinta vitale, la possibilità generativa e la costruzione narrativa. Come evitare questa discesa infera?

Come evitare le pericolose generalizzazioni dicotomiche in cui tutti i traditi sono vittime e tutti i traditori carnefici?

La piega culturale che la società sembra aver adottato nei confronti del tradimento pare essere, tendenzialmente, quella di trasformarlo alla stregua di un tabù, di un peccato capitale da evitare come la
peste, in modo da scampare la corruzione e il disfacimento.

Tuttavia, il pericolo che si cela dietro tale approccio è quasi altrettanto mortifero poiché, nelle sue estreme declinazioni, porta ad un impossibilità evolutiva e creativa legata ad una costante ed imperitura omologazione, ad una stagnazione in qualcosa che sentiamo non appartenerci ma dalla quale è oneroso staccarsi. Non si tradisce infatti soltanto un amante, ma anche un ideale, una società, una famiglia, un maestro.

Visto in quest’ottica, il tradimento, da particolare e specifico fenomeno relazionale, diventa, anche, fenomeno esistenziale, fisiologicamente umano, che parla della possibilità emancipatoria e creativa di ciascuno, della spinta all’autenticità personale che deve fare i conti con i mandati esterni che, nel tempo, sono stati interiorizzati, diventando patrimonio psichico del soggetto e che, nel confronto con i quali, se sente di tradirli, va incontro a dubbi, dolore, sensi di colpa.

Ciò vale anche per i tradimenti relazionali, in merito ai quali è forse ancora più difficile vederne le
potenzialità trasformative e guardare al tradimento come ad un movimento di fuoriuscita da una stasi potenzialmente mortifera, come il segnale di una condizione esistenziale (di coppia o meno) in cui alcune sfaccettature problematiche non trovano una strada diversa per esprimersi, o a cui è difficile mettere fine in altro modo.

Quanto può essere difficile, quindi, prendere autenticamente una posizione altra rispetto a dei mandati familiari, a delle convenzioni sociali o a dei codici amicali? Quanto turbamento tentare ciò, spesso, provoca nell’individuo, senza che esso, talvolta, ne riesca a cogliere la causa?

Che si tratti di un evento relazionale particolare o che si riferisca ad una dimensione più ampia ed esistenziale, è forse necessario sconsacrare il tabù del tradimento, recuperando, e interiorizzando, la dimensione evolutiva e trasformativa insita nell’etimologia della parola: essa deriva infatti dal latino traducere (trainare/trasportare oltre, al di là) che racchiude, nella sua essenza, tutto il significato innovativo, evolutivo e di sviluppo della propria autenticità insisto nel concetto di tradimento.

A volte, tuttavia, un cammino di questo tipo può risultare difficoltoso da intraprendere autonomamente: tradito e traditore possono restare invischiati nel gorgo devitalizzante in cui sono caduti, da un lato, e l’individuo imbrigliato nelle maglie degli intenzionamenti altrui (esterni o interni; familiari o sociali) privandosi, di fatto, della possibilità dello sviluppo autentico della propria persona e del proprio desiderio, dall’altro.

In questi casi, l’intervento psicoterapico può avere un impatto incisivo: favorire la fuoriuscita dalla dimensione monolitica e devitalizzante del trauma del tradimento, aiutando ad inserire lo stesso in una storia sfumata di significati ed evidenziandone, riconoscendo tutto il dolore che comporta il cambiamento, le potenzialità trasformative, emancipatorie e vitalizzanti.

Questo anche in un ottica ampia e generale, in cui le emozioni legate al tradimento operano in maniera subdola e non sempre consapevole, impedendo alla persona, fisiologicamente più o meno invischiata nella sua storia, nella sua società e nella sua cultura, un’espressione autentica della propria essenza.


Dott. Jacopo Guarino
Psicologo Clinico – Psicoterapeuta
Membro Ordinario AIR

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