Trattamento dell’ansia
Il lavoro da consegnare. La scadenza della dichiarazione dei redditi. Il trasloco. La separazione. I bambini da prendere a scuola. Le vacanze da organizzare. Il treno da prendere la mattina. Chi più, chi meno, tutti proviamo ansia, al punto che l’ansia è uno tra i disagi più comuni.
Se pensiamo che è spesso sottesa alla depressione e al disturbo ossessivo, dobbiamo sapere che nei prossimi cinque o sei anni sarà alla base di uno dei principali malesseri a livello mondiale.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha infatti messo la depressione al secondo posto tra le patologie che ci affliggeranno nel 2020, a pochi punti percentuali dalle cardiopatie.
La prospettiva è allarmante? Siamo destinati a essere sempre più ansiosi, depressi e ossessivi? Non esageriamo. L’ansia non è così terribile come si crede. Al contrario, possiamo osservarla con un inusuale ribaltamento di prospettiva e imparare a utilizzarla.
Ben prima di essere uno stato patologico, l’ansia è un’emozione. Come tale, se ascoltata, si dissolve da sola. Potremmo dire che segue in modo spontaneo l’indicazione del Piccolo Principe con i baobab, piante ingombranti e invadenti: “I baobab prima di diventare grandi cominciano con l’essere piccoli… Ora un baobab, se si arriva troppo tardi, non si riesce più a sbarazzarsene”.
Riconoscendo per tempo i germogli di baobab, vale a dire l’ansia al suo primo insorgere, si riuscirà a fare qualcosa di buono per la nostra serenità futura.
L’ansia rientra tra le emozioni negative, ma questo non significa che sia uno stato patologico o anormale. Di certo lo può diventare se amplificata, quando di trasforma in attacco d’ansia o attacco di panico. Allo stesso modo, emozioni negative come la tristezza, la rabbia o la paura possono amplificarsi in depressione, raptus o fobia, tuttavia la deriva patologica non è la sua naturale evoluzione.
Come segnale psicosomatico, l’ansia è riconducibile alla categoria della paura. L’ansia è una sorta di “timore senza apparente motivo” e proprio l’essere un timore ingiustificato disarma chi cerca di affrontarla.
In più, l’ansia ha un pessimo rapporto con il tempo. Il tempo che passa può essere impiegato per riflettere, ma spesso è prepotentemente vissuto come urgente. L’ansia pretende fretta, che è sempre una pessima consigliera.
Come la percezione del dolore fisico ci aiuta a non esporre il corpo a pericoli o traumi, la percezione dell’ansia porta a riconoscere ed evitare situazioni comportamentali o relazionali che potrebbero produrre danni alla nostra mente.
Se la guardiamo in questi termini, chi di noi è veramente disposto a disattivare la propria ansia? Evitarla, invece di evitare le situazioni che la provocano, è doppiamente dannoso: non si impara a riconoscere le fonti d’ansia e non ci si allena neppure a provarla.
L’ansia, al pari delle altre emozioni, contagia chi ci sta vicino. Capire il significato dell’ansia vuol dire depotenziarla e non trasmetterla nelle relazioni.
L’ansia, nella giusta via di mezzo, è invece un mezzo potente per migliorare la prestazione. Sembra strano? Non lo è. Per chi si occupa di performance o del raggiungimento di un obiettivo è evidente come un giusto livello d’ansia è necessario al risultato. Immaginiamo di doverci sottoporre a un esame universitario: se provo un basso livello di ansia sottovaluterò la sfida o non mi impegnerò abbastanza nello studio e, molto probabilmente, prenderò un voto insufficiente. Viceversa, se provo troppa ansia sarò distratto, poco concentrato e confuso. È solo provando un medio livello di apprensione che dedicherò il tempo giusto allo studio e affronterò la prova nel pieno delle mie capacità mentali.
Negando l’ansia rischiamo di patirla ancora di più. La soluzione è una sola: cerchiamo di avvicinarla. Più la conosciamo, più l’ansia tende a sparire, lasciandoci però la consapevolezza delle nostre azioni e una crescita emotiva capace di sostenerci al prossimo attacco.
(Estratto dall’articolo “Ansia? Sì, grazie!” di Omar Fassio pubblicato su Giovani Genitori, Maggio 2014)
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