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Studio Bonzanigo 11 http://www.studiobonzanigo11.it/ Psicologo e psicoterapeuta a Torino Tue, 03 Oct 2023 13:51:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.4 Sperimentiamo un nuovo metodo di supervisione… https://www.studiobonzanigo11.it/sperimentiamo-un-nuovo-metodo-di-supervisione/ Tue, 03 Oct 2023 09:12:17 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1481 Dopo aver costruito e sperimentato un nuovo metodo di intervisione insieme ad un gruppo di colleghi e amici, il Dr. Rosso e la Dr.ssa Daneo, vorrebbero proporlo come modalità di supervisione per un gruppo digiovani colleghi che si siano specializzati in scuole di psicoterapia ad orientamento psicoanalitico. Il primo obiettivo della proposta è cercare di […]

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Dopo aver costruito e sperimentato un nuovo metodo di intervisione insieme ad un gruppo di colleghi e amici, il Dr. Rosso e la Dr.ssa Daneo, vorrebbero proporlo come modalità di supervisione per un gruppo di
giovani colleghi che si siano specializzati in scuole di psicoterapia ad orientamento psicoanalitico.

Il primo obiettivo della proposta è cercare di mescolare persone con percorsi formativi diversi, perché pensiamo possa essere un grande arricchimento, e poi fornire loro uno spazio di supporto alla professione che sia più accessibile. Inoltre la caratteristica della gruppalità ci sembra un valore aggiunto che permette ulteriori elaborazioni e contenimenti delle angosce.

Il Metodo di riferimento

Il metodo che useremo nasce da una mescolanza e contaminazione “un po’ eretica” di due proposte teoriche appartenenti alla letteratura psicoanalitica.


La prima ispirazione è la tecnica dei Weaving Thoughts (Norman e Salomonsson, 2005).
Si tratta dell’esposizione diretta ai membri del gruppo del materiale clinico, senza fornire prima la storia, l’anamnesi e la diagnosi del paziente. Anche se i membri del gruppo possono fare domande, il presenter cerca di resistere e non risponde. In questo modo si entra direttamente nel qui ed ora del materiale della seduta. Solo alla fine della lettura, il gruppo inizia ad intervenire, e gli interventi devono limitarsi rigorosamente ad associazioni, ipotesi, liberi pensieri, che non devono mai trasformarsi in giudizi o valutazioni sull’operato del terapeuta. I partecipanti cercano di riflettere sul materiale “senza memoria e senza desiderio” come suggerisce Bion, mentre associano con il più possibile di attenzione sospesa.

L’altra ispirazione viene dal metodo di supervisione proposto da Haydee Faimberg, sull’ “Ascolto dell’ascolto”.
In questo caso la seduta viene scritta e letta spezzettata in diversi segmenti. La sospensione tra una
pagina e l’altra del materiale deve avvenire prima dell’intervento del terapeuta per stimolare la discussione sul tipo di ascolto che è in atto nel terapeuta e su quali assunti di base e presupposti teorici guidano il suo
intervento.

Il nuovo Metodo di Supervisione

Arriviamo alla nostra proposta quindi:

chi presenta porta una seduta senza fornire anamnesi, diagnosi, dettagli di contesto, neanche età o sesso, e divide la seduta in brevi segmenti, stampati proprio su pagine diverse, possibilmente interrompendo prima dell’intervento del terapeuta. Alla fine di ogni singolo segmento il gruppo condivide associazioni, intuizioni, idee, sogni…ecc e il presenter deve tacere e resistere alla tentazione di aggiungere informazioni o rispondere alle domande. Solo alla fine della lettura di tutti i segmenti della seduta, il presenter potrà fornire tutte queste informazioni e dare a sua volta qualche rimando.


Il paradosso di questo nuovo metodo di supervisione è che senza sapere, in realtà si scoprono tante cose e tanti pensieri non pensati in seduta trovano i pensatori.
Vedrete come le varie parti del campo terapeutico trovano accoglienza tra i diversi partecipanti e come l’interazione anche minima assume, o meglio ritrova, significatività! Si tratta di affidarsi e fare un salto
nell’ignoto, ma in fondo lo facciamo tutti i giorni con i nostri pazienti…Credo che potremmo uscirne come terapeuti migliori!

Dott.ssa Simona Daneo

Bibliografia di riferimento

Faimberg, H. (1981). L’ascolto dell’ascolto. Ascoltando tre generazioni.

Norman, J., & Salomonsson, B. (2005). ‘Weaving thoughts’ A method for presenting and commenting psychoanalytic case material in a peer group. The International Journal of Psychoanalysis86(5), 1281-1298.

Per Informazioni e Iscrizioni contatta il Centro di Psicologia di Torino Bonzanigo 11

Se sei interessato ad avere informazioni ed iscriverti puoi contattare il nostro Centro con sede a Torino tramite l’ indirizzo di posta elettronica.

Il Gruppo prevede un massimo di otto partecipanti già in possesso di specializzazione in psicoterapia.

Il costo è di 40 euro a serata

La prima supervisione sarà il giorno 24/10/2023 dalle ore 20.30 alle ore 22.00.

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CHI AIUTA GLI ALTRI AIUTA SE STESSO https://www.studiobonzanigo11.it/chi-aiuta-gli-altri-aiuta-se-stesso/ Wed, 21 Jun 2023 13:22:37 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1446 ll benessere psicologico nei volontari Che cos’è il volontariato La nostra società sta diventando sempre più individualista, i valori di altruismo ed empatia verso il prossimo sembrano essere caduti in disuso. L’obiettivo principale sembra essere la ricerca del benessere personale. Tuttavia, quotidianamente i giornali ed i media ci informano della presenza sempre maggiore di persone […]

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ll benessere psicologico nei volontari

Che cos’è il volontariato

La nostra società sta diventando sempre più individualista, i valori di altruismo ed empatia verso il prossimo sembrano essere caduti in disuso. L’obiettivo principale sembra essere la ricerca del benessere personale.

Tuttavia, quotidianamente i giornali ed i media ci informano della presenza sempre maggiore di persone in difficoltà economiche, in condizione di svantaggio sociale, rifugiati di guerra oppure ancora vittime di catastrofi climatiche. Eventi, naturali e non, che in un modo o nell’altro rivoluzionano la vita delle persone costringendole a chiedere aiuto al fine di garantire la loro stessa sopravvivenza. L’esempio più recente è l’alluvione che a maggio ha colpito l’Emilia Romagna. In tutte queste situazioni però è possibile apprezzare la presenza dell’aiuto imprescindibile di molte persone che non giovano di un ritorno economico delle loro azioni, i volontari.

Chi sono i volontari

L’Enciclopedia Treccani definisce il volontario come “Chi assume un impegno o si presta a operare, a collaborare, a fare qualcosa di propria volontà, indipendentemente da obblighi e da costrizioni esterne”. In Italia se ne contano 5,5 milioni, in Europa 16 milioni e nel mondo sono ben 1 miliardo, persone che pur nella loro unicità e individualità, hanno in comune il desiderio di aiutare il prossimo. Si fa volontariato per motivazioni diverse come un’intrinseca propensione all’altruismo, aspetti culturali o religiosi ma anche solo la possibilità di trascorrere qualche ora del proprio tempo libero in compagnia. Quello che è importante è che “pur cambiando gli addendi il risultato non cambia”.

Benefici del volontariato

Certamente il volontariato comporta a cascata tutta una serie di benefici, sia materiali che emotivi e fisici sulle persone che ricevono aiuto. Forse quello che non tutti sanno è che tra i volontari stessi è stato documentato un aumento della salute complessiva ed una riduzione del rischio di mortalità precoce. Impegnarsi in un’attività gratificante permette di distogliere l’attenzione dalle incombenze quotidiane, portando ad una riduzione dello stress ed un netto miglioramento del tono dell’umore. Non solo, fare del bene per gli altri permette di percepire maggior senso di realizzazione di sé, aumentando il senso di autostima e autoefficacia e prevenendo in questo modo la comparsa di una sintomatologia depressiva.

Dal momento che il volontariato non è un’attività individuale permette di accrescere le proprie competenze sociali. “Mettersi in gioco” per conoscere nuove persone con cui si condividono determinati valori, porta ad un’acquisizione maggiore della competenza di comprensione e ascolto empatico.

L’uomo è per la sua natura considerato un “animale sociale” e i dati delle ricerche dimostrano che stare con gli altri si concretizza in un aumento degli ormoni del benessere e in generale dell’attività cerebrale.

La Ricerca

In aggiunta, una ricerca di Ranapurwala et al., 2016 ha evidenziato come l’attività di volontariato possa agire come fattore di prevenzione sociale, prevenendo dalla messa in atto di azioni delinquenziali.
Questi risultati possono essere degli spunti per accendere anche solo una briciola di motivazione in tutti noi nell’intraprendere qualche attività di volontariato. È utile dedicare solamente poche ore a settimana a qualsiasi attività per giovare di questi benefici su di sé ma nello stesso tempo le nostre azioni hanno profonde ricadute su tutti coloro che possono giovare del nostro aiuto. E chissà che magari un giorno potremmo essere proprio noi ad averne bisogno.

Dott.ssa Artero Martina

Bibliografia e sitografia:
Ranapurwala SI, Casteel C, Peek-Asa C. Volunteering in adolescence and young adulthood crime
involvement: a longitudinal analysis from the add health study. Inj Epidemiol. 2016 Dec;3(1):26.
doi: 10.1186/s40621-016-0091-6. Epub 2016 Nov 21. PMID: 27807807; PMCID: PMC5116440
https://www.treccani.it/vocabolario/volontario/

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“NONNA SPIEGAMI IL MONDO” https://www.studiobonzanigo11.it/nonna-spiegami-il-mondo/ Thu, 25 May 2023 07:01:42 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1419 L'articolo “NONNA SPIEGAMI IL MONDO” proviene da Studio Bonzanigo 11.

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Come la cura dei nonni incide sullo Sviluppo Psicologico dei bambini

Diventare adulti spesso comporta l’abitudine ad una serie di routine ed esperienze che vengono date per scontate, eventi che invece agli occhi di un bambino rappresentano una scoperta continua sul mondo. Una società che viaggia ad alta velocità non riesce a soffermarsi sui piccoli particolari, sulle piccole scoperte dei bambini che in queste esplorazione possono essere accompagnati da chi viaggia più lentamente, come i nonni.

A differenza delle figure genitoriali, infatti, i nonni possono sia godere della fiducia dei genitori stessi, che fanno affidamento su di loro nella cura dei figli, sia tirare un sospiro di sollievo rispetto al senso di responsabilità verso i compiti educativi riservata principalmente alle figure genitoriali. Ecco che quindi i nonni possono permettersi di passare con i nipoti del tempo più sereno e tranquillo, offrendo in questo modo esperienze di qualità per il loro sviluppo psicologico.

La relazione tra nipoti e i nonni è basata principalmente su un affetto reciproco e sulla condivisione della voglia pura dello stare insieme, priva quindi del peso delle aspettative genitoriali sulla loro immagine di “figli” che devono rispettare determinate regole e determinati ritmi familiari.

Il bambino viene in questo modo reso partecipe della relazione, ascoltato, sostenuto e rinforzato e questo permette di sviluppare un senso di serenità e di sicurezza rispetto al proprio Sé.

Cosa dicono gli studi sulla Prima Infanzia?

Numerosi studi hanno dimostrato come le esperienze positive esperite durante la prima infanzia siano predittive di uno sviluppo sano, per questo motivo il clima disteso e la capacità dei nonni di rispettare i tempi delle tappe di sviluppo del bambino gli permettono di apprendere e scoprire il mondo sperimentando affetti positivi che andranno anche a plasmare lo sviluppo cognitivo.

Non solo, le esperienze interpersonali favoriscono anche lo sviluppo di capacità di rapportarsi con gli altri. La teorizzazione di Bowlby (1973) sui Modelli Operativi Interni spiega proprio come le relazioni esperite durante i primi anni di vita con le figure di riferimento significative permettano al bambino di crearsi delle rappresentazioni dei modelli di relazione che rimangono relativamente stabili nel tempo.

Creano delle aspettative che guidano e influenzano i comportamenti futuri, ogni volta che il bambino entra in relazione con altri.

Il Ruolo dei Nonni in Famiglia

Il ruolo dei nonni è importante anche nel favorire un dialogo tra i componenti della famiglia e fare in questo modo sperimentare al bambino un senso di appartenenza familiare, indispensabile nella creazione della base sicura verso cui poter sempre fare affidamento in momenti di necessità. I nonni sono inoltre i custodi della storia della famiglia che tramandano ai nipoti attraverso racconti, aneddoti, storie che permettono loro di viaggiare con la mente al passato per conoscere le loro origini e sviluppare il senso di identità relativo al loro posto nel contesto familiare.

Nel corso degli anni si sta assistendo ad un continuo cambiamento del mondo del lavoro che attualmente richiede ritmi molto serrati e concede poche possibilità di orari flessibili, persino per le figure materne che necessitano di tornare a lavorare poco dopo il parto. Il contesto sociale sta rendendo quindi sempre più necessario per i genitori affidare le cure dei figli ad altre figure e sembra proprio che la ricerca venga in aiuto rassicurando sul fatto che la scelta dei nonni possa rivelarsi adatta per accompagnare e migliorare lo sviluppo psicologico dei propri bambini.

Dott.ssa Artero Martina

Bibliografia:

Bowlby J. (1973): Attaccamento e perdita, vol. 2: La separazione dalla madre.
Boringhieri, Torino, 1975

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IA : le macchine potranno mai “PROVARE” EMOZIONI? https://www.studiobonzanigo11.it/intelligenza-artificiale-ed-emozioni/ Thu, 27 Apr 2023 15:59:58 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1399 Il recente avvenimento che ha portato il Garante per la protezione dei dati personali al blocco di ChatGPT (il più noto software di intelligenza artificiale che permette di simulare ed elaborare le conversazioni umane) è stata l’occasione per riflettere su quanto l’uomo viva circondato dall’intelligenza artificiale e su quanto di “macchina” ci sia nell’essere umano […]

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Il recente avvenimento che ha portato il Garante per la protezione dei dati personali al blocco di ChatGPT (il più noto software di intelligenza artificiale che permette di simulare ed elaborare le conversazioni umane) è stata l’occasione per riflettere su quanto l’uomo viva circondato dall’intelligenza artificiale e su quanto di “macchina” ci sia nell’essere umano e quanto “essere umano” ci sia nella macchina

Si sa che una delle caratteristiche dell’uomo è la spinta all’esplorazione, che lo porta inevitabilmente ad andare oltre i propri limiti e confini. Ne sono esempi lo sbarco sulla luna, gli studi su Marte per la ricerca del “pianeta B” ma anche le sperimentazioni sull’ibernazione per poter continuare a vivere “post mortem”.

Di certo ciò che l’uomo sa fare bene è utilizzare tutte le risorse di cui dispone per cercare modi di superare le limitazioni fisiche, cognitive e intellettuali che lo caratterizzano. Nel momento in cui non dispone di tali risorse, le crea. Ma a che prezzo?

L’Intelligenza Artificiale (IA)

Intorno alla metà degli anni 50 ha avuto gli arbori una di quelle discipline che ha portato a profondi cambiamenti in moltissimi ambiti: l’intelligenza artificiale.

Definita come:

“La scienza di creare ed ingegnerizzare macchine intelligenti e in particolar modo programmi informatici intelligenti. È correlata alla capacità di utilizzare i computer per comprendere l’intelligenza umana, ma non deve limitarsi a metodi che sono biologicamente osservabili”

McCarthy, 2004

L’intelligenza artificiale è nata principalmente in ambito informatico per poi successivamente espandersi in numerosi altri settori. Ecco quindi che oggi, senza nemmeno rendercene conto, ci troviamo circondati e viviamo totalmente permeati dentro questa tecnologia che è ormai parte integrante ed imprescindibile della nostra realtà.

Vogliamo ascoltare un po’ di musica? Ecco che senza neanche alzarci dal divano ci viene in aiuto ALEXA. Dobbiamo andare ad una festa di compleanno e ci siamo dimenticati il regalo? Nessun problema con Amazon che è in grado di guidarci nella scelta sulla base delle nostre preferenze di acquisti precedenti. Siamo stanchi per guidare? Tesla lo fa per noi. Non abbiamo voglia di uscire di casa per andare al cinema? Netflix è a nostra disposizione per qualsiasi cosa scegliamo di vedere ecc.

Al fine di migliorare ulteriormente le interazioni uomo-macchina e offrire un servizio ancora più sofisticato e sintonizzato con le reali necessità del cliente è stato successivamente sviluppato un particolare ramo dell’IA, definito “intelligenza emotiva artificiale”.

Intelligenza Artificiale ed Emozioni

L’obiettivo dell’IA emotiva è quello di comprendere e simulare le reazioni emotive umane al fine di regolare i comportamenti delle macchine e offrire in questo modo un servizio migliore.

Per quanto riguarda il primo aspetto, quello della comprensione delle emozioni altrui, è intuibile la facilità con cui tali sistemi siano in grado di farlo. Numerose ricerche hanno dimostrato che gli esseri umani utilizzano tutta una serie di cue e segnali (come quelli definiti dalla tassonomia di Adolphs e Birmingham, 2011) per comunicare la propria emozione all’altro: le espressioni facciali, il cambiamento del tono della voce, la postura, lo sguardo ecc.

Non è difficile quindi immaginare di programmare una macchina che sia in grado di elaborare tutti questi segnali ed etichettarli come “emozione”. Il problema però è che la faccenda è molto più complicata di come sembra.

Emozione deriva dal latino “emovere”= trasportare fuori, scuotere e rappresenta una reazione dell’organismo di fronte ad uno stimolo e comprende sia aspetti cognitivi (di valutazione della natura dello stimolo) che fisiologici. L’altro aspetto da considerare è quindi quello delle reazioni fisiologiche, oltre a comunicare la propria emozione infatti l’uomo la “sente”.

È possibile che anche una macchina possa “provare un’emozione”?

Secondo un ingegnere di Google la risposta è SI: ha infatti rivelato che uno dei sistemi di IA dell’azienda avrebbe raggiunto dei livelli di sensibilità equivalenti a quelli dell’uomo. Peccato che l’intervista conseguente gli sia costata il licenziamento da parte dell’azienda che smentisce la possibilità che un sistema di IA, ad oggi, sia in grado di riprodurre le emozioni umane.

Questo aspetto più prettamente fisiologico e biologico riguarda principalmente la comunicazione tra il sistema nervoso ed il resto del corpo, ovvero il collegamento mente-corpo indispensabile per “percepire” l’emozione.

Possiamo pensare che le macchine, così come sono state progettate e realizzate, possano essere paragonate alla “mente” e mancherebbe quindi loro la parte del “corpo” per poter parlare effettivamente di sperimentazione emotiva. Tuttavia, anche riuscendo a riprodurre meccanicamente una struttura complessa quale quella del nostro corpo la macchina sarebbe ancora sprovvista di uno stato di consapevolezza del proprio essere e, di fatto, della propria realtà mentale

Certo sembrano essere molti i vantaggi di questa tecnologia rivoluzionaria: ne sono un esempio il software Affectiva che permette di analizzare i livelli di stress del guidatore di un’auto o di registrare le reazioni dei clienti nei confronti di prodotti per comprendere le loro preferenze e indirizzarne le pubblicità. Oppure ancora il robot domestico Pepper in grado di entrare in empatia con le persone, carpirne gli stati d’animo e le esigenze del momento al fine di soddisfarne le necessità attraverso consigli mirati.

Molti studiosi stanno però mettendo in allerta sui potenziali pericoli che ne derivano dagli sviluppi di questo settore.

il vero pericolo non è che i computer inizino a pensare come gli uomini, ma che gli uomini inizino a pensare come i computer

Sydney Harris

Possiamo solo immaginare dove porterà il progresso scientifico ma sarebbe utile capire se non stiamo facendo il passo più lungo della gamba. Non sarebbe forse meglio “lasciare all’uomo quello che è dell’uomo?”

Dott.ssa Artero Martina

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Sul Tradimento https://www.studiobonzanigo11.it/sul-tradimento/ Sun, 05 Mar 2023 22:18:20 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1379 Pensare al tradimento significa toccare nuclei cocenti della nostra emotività. Che si tratti di tradimento reale, presunto o fantasticato, il solo pensiero è in grado di turbarci, di scombussolare le nostre percezioni, talvolta di guidare le nostre azioni nella maniera più disparata (e disperata) e, spesso, irrazionale. Chabrol rende bene questa situazione complessa attraverso il […]

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Pensare al tradimento significa toccare nuclei cocenti della nostra emotività.

Che si tratti di tradimento reale, presunto o fantasticato, il solo pensiero è in grado di turbarci, di scombussolare le nostre percezioni, talvolta di guidare le nostre azioni nella maniera più disparata (e disperata) e, spesso, irrazionale.

Chabrol rende bene questa situazione complessa attraverso il suo film “l’Inferno” (1994), in cui l’idillio di un progetto familiare nascente viene gradualmente corrotto dalle ossessioni di Paul, che si lascia consumare dalla convinzione gelosa che la moglie Nelly lo tradisca.

Ma il pensiero disturbante del tradimento non riguarda solo quello subito, ma anche quello perpetrato, non riguarda solo il tradito, ma anche il traditore. Un vortice che risucchia entrambi verso una singolarità che può avere esiti nefasti per ciascuno, mortificando, se non il corpo, quantomeno la psiche e la vita emotiva, soprattutto se non sufficientemente elaborato, significato ed integrato nella narrazione esistenziale di chi si è trovato coinvolto nella vicenda.

D’altronde, l’esempio più iconico del tradimento permea la nostra cultura occidentale da secoli, mostrando, al di là delle interpretazioni teologiche, l’effetto drammatico del tradimento: Giuda tradisce Gesù che, a causa di ciò, muore sulla croce ma, al contempo, il tradimento porta anche alla morte di giuda, che si toglie la vita impiccandosi (o squarciandosi, a seconda delle versioni).

Tradito e traditore, quindi, vengono accomunati da uno stesso destino, la morte, e gli effetti del tradimento vengono crudamente esplicitati nel racconto sacro: il tradimento inchioda, il tradimento soffoca, il tradimento squarcia.

Alla stregua di un vero e proprio trauma, rischia di polarizzare le esistenze di chi ne è coinvolto fino a spegnerne quasi del tutto la spinta vitale, la possibilità generativa e la costruzione narrativa. Come evitare questa discesa infera?

Come evitare le pericolose generalizzazioni dicotomiche in cui tutti i traditi sono vittime e tutti i traditori carnefici?

La piega culturale che la società sembra aver adottato nei confronti del tradimento pare essere, tendenzialmente, quella di trasformarlo alla stregua di un tabù, di un peccato capitale da evitare come la
peste, in modo da scampare la corruzione e il disfacimento.

Tuttavia, il pericolo che si cela dietro tale approccio è quasi altrettanto mortifero poiché, nelle sue estreme declinazioni, porta ad un impossibilità evolutiva e creativa legata ad una costante ed imperitura omologazione, ad una stagnazione in qualcosa che sentiamo non appartenerci ma dalla quale è oneroso staccarsi. Non si tradisce infatti soltanto un amante, ma anche un ideale, una società, una famiglia, un maestro.

Visto in quest’ottica, il tradimento, da particolare e specifico fenomeno relazionale, diventa, anche, fenomeno esistenziale, fisiologicamente umano, che parla della possibilità emancipatoria e creativa di ciascuno, della spinta all’autenticità personale che deve fare i conti con i mandati esterni che, nel tempo, sono stati interiorizzati, diventando patrimonio psichico del soggetto e che, nel confronto con i quali, se sente di tradirli, va incontro a dubbi, dolore, sensi di colpa.

Ciò vale anche per i tradimenti relazionali, in merito ai quali è forse ancora più difficile vederne le
potenzialità trasformative e guardare al tradimento come ad un movimento di fuoriuscita da una stasi potenzialmente mortifera, come il segnale di una condizione esistenziale (di coppia o meno) in cui alcune sfaccettature problematiche non trovano una strada diversa per esprimersi, o a cui è difficile mettere fine in altro modo.

Quanto può essere difficile, quindi, prendere autenticamente una posizione altra rispetto a dei mandati familiari, a delle convenzioni sociali o a dei codici amicali? Quanto turbamento tentare ciò, spesso, provoca nell’individuo, senza che esso, talvolta, ne riesca a cogliere la causa?

Che si tratti di un evento relazionale particolare o che si riferisca ad una dimensione più ampia ed esistenziale, è forse necessario sconsacrare il tabù del tradimento, recuperando, e interiorizzando, la dimensione evolutiva e trasformativa insita nell’etimologia della parola: essa deriva infatti dal latino traducere (trainare/trasportare oltre, al di là) che racchiude, nella sua essenza, tutto il significato innovativo, evolutivo e di sviluppo della propria autenticità insisto nel concetto di tradimento.

A volte, tuttavia, un cammino di questo tipo può risultare difficoltoso da intraprendere autonomamente: tradito e traditore possono restare invischiati nel gorgo devitalizzante in cui sono caduti, da un lato, e l’individuo imbrigliato nelle maglie degli intenzionamenti altrui (esterni o interni; familiari o sociali) privandosi, di fatto, della possibilità dello sviluppo autentico della propria persona e del proprio desiderio, dall’altro.

In questi casi, l’intervento psicoterapico può avere un impatto incisivo: favorire la fuoriuscita dalla dimensione monolitica e devitalizzante del trauma del tradimento, aiutando ad inserire lo stesso in una storia sfumata di significati ed evidenziandone, riconoscendo tutto il dolore che comporta il cambiamento, le potenzialità trasformative, emancipatorie e vitalizzanti.

Questo anche in un ottica ampia e generale, in cui le emozioni legate al tradimento operano in maniera subdola e non sempre consapevole, impedendo alla persona, fisiologicamente più o meno invischiata nella sua storia, nella sua società e nella sua cultura, un’espressione autentica della propria essenza.


Dott. Jacopo Guarino
Psicologo Clinico – Psicoterapeuta
Membro Ordinario AIR

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ATTACCHI DI PANICO: cosa si può fare? https://www.studiobonzanigo11.it/attacchi-di-panico-cosa-si-puo-fare/ Tue, 10 Jan 2023 17:52:05 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1363 Gli attacchi di panico sono un problema molto diffuso, a molte persone è capitato di provare almeno una volta nella vita questa brutta esperienza. Ad altre persone succede più frequentemente e non riescono a venirne a capo. Spesso poi questa difficoltà porta ad utilizzare farmaci di vario tipo, in particolare ansiolitici, con modalità che a […]

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Gli attacchi di panico sono un problema molto diffuso, a molte persone è capitato di provare almeno una volta nella vita questa brutta esperienza. Ad altre persone succede più frequentemente e non riescono a venirne a capo. Spesso poi questa difficoltà porta ad utilizzare farmaci di vario tipo, in particolare ansiolitici, con modalità che a volte sono un po’ “fai da te” e quindi pericolose e non risolutive.

È importante allora capire qual’è la causa degli attacchi di panico, cosa sono e cosa si può fare per risolvere questa problematica.

Nella mia esperienza come psicoterapeuta mi capita spesso di incontrare persone che si rivolgono a me proprio per questo motivo. Si tratta di una bruttissima esperienza la cui sintomatologia può variare da un individuo all’altro, ma in generale quello che si prova a livello fisico è:

  • battito cardiaco molto accelerato
  • brividi, sudori freddi
  • mal di stomaco
  • senso di soffocamento

A livello psicologico si sente un’angoscia profonda, una specie di terrore senza nome. È talmente intensa come esperienza che spesso viene vissuta come “la sensazione di stare per morire” e può essere scambiata per un infarto. In alcuni casi si può finire anche al Pronto Soccorso.

Spesso chi soffre di attacchi di panico cerca spiegazioni razionali: è stato un periodo stressante, sono stanco, oppure è successo qualcosa che mi ha preoccupato. Sicuramente ci saranno situazioni contingenti che possono favorire la nostra vulnerabilità o preoccupazioni che ci agitano, ma queste non sono la causa. Il problema è che la nostra mente reagisce come se ci fosse un pericolo mortale, anche se non è realmente presente.

È naturale che il paziente quando arriva da me vorrebbe delle soluzioni e delle soluzioni veloci per sollevarsi da tanta fatica e sofferenza. La psicoterapia però non dà soluzioni immediate, di questo bisogna essere consapevoli quando ci si rivolge ad un terapeuta. Però dà un aiuto duraturo perché non agisce sul sintomo solamente, ma agisce sulla causa e quindi ha un impatto ben più efficace.

Ad onor del vero però posso dire che, anche se la cura vera e propria viene col tempo, spesso anche già durante le prime sedute la sintomatologia diventa meno invalidante e più gestibile, perché il fatto di avere uno spazio dove portare la propria angoscia è già un sollievo.

Ma torniamo alla causa. Qual’è la causa degli attacchi di panico?

Con i miei pazienti ho l’abitudine di usare questa metafora per spiegarlo: è come quando si continuano ad ammassare cose, rifiuti, pesi, pacchi, nello sgabuzzino e si chiude la porta, finchè è talmente pieno che la porta si sfonda e tutto crolla fuori. Cosa significa? Che il motivo dell’attacco di panico non è un singolo episodio contingente, ma che una piccola vicenda magari precedente all’attacco di panico è solo “la goccia che fa traboccare il vaso”. Sì, perché spesso tendiamo a mettere da parte i nostri sentimenti, a dimenticare esperienze traumatiche, a trascurare le nostre fatiche e paure, a non ascoltarci.

Ma tutti questi pesi non vengono dimenticati dalla nostra mente, anzi si accumulano e ad un certo punto la nostra psiche si trova costretta ad affrontarli tutti in un colpo e questo ci travolge. Nella terapia si tratterà quindi di andare a vedere che cosa c’era nello “sgabuzzino”, aprire pacchi anche spiacevoli. Facendolo insieme al terapeuta, in uno spazio protetto e di supporto, col tempo si può riuscire a risolvere vecchi nodi, imparare a non accumulare più.

La risoluzione non sarà quindi veloce e facile, ma il viaggio che ci aspetta in terapia riserva anche tante belle sorprese, come risorse inattese e nuove motivazioni alla vita. E non si rimarrà soli a combattere sofferenze che non devono essere trascurate se vogliamo davvero prenderci cura di noi stessi.

Nel frattempo però, se la sintomatologia rimane invalidante per un certo periodo di tempo, la psicoterapia si può temporaneamente affiancare con altre forme di aiuto. Queste aiutano a trovare un po’ di sollievo e permettono di procedere nella vita quotidiana. Per esempio si possono imparare alcune tecniche di mindfulness e di radicamento che servono ad affrontare le crisi di ansia più forti. Se necessario si può seguire in parallelo un percorso di mindfulness con altri colleghi. Oppure si può valutare l’opportunità di seguire per un periodo una terapia farmacologica sotto il controllo di medici con cui noi psicologi dello Studio Bonzanigo 11 collaboriamo.

Dott.ssa Simona Daneo

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Più ON AIR e meno ON LINE https://www.studiobonzanigo11.it/piu-on-air-e-meno-on-line/ Sun, 11 Dec 2022 11:22:01 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1340 Natura e Tecnologie digitali: quali sono gli effetti sul benessere psico-fisico dei bambini? L’aumento esponenziale dell’uso dei media digitali nell’ultimo decennio, complice il ricorso a strumenti quali la Didattica a Distanza e lo Smartworking utilizzati per fronteggiare la recente pandemia di Covid 19, sta radicalmente cambiando il modo di vivere di tutti. Osserviamo che anche […]

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Natura e Tecnologie digitali: quali sono gli effetti sul benessere psico-fisico dei bambini?

L’aumento esponenziale dell’uso dei media digitali nell’ultimo decennio, complice il ricorso a strumenti quali la Didattica a Distanza e lo Smartworking utilizzati per fronteggiare la recente pandemia di Covid 19, sta radicalmente cambiando il modo di vivere di tutti.

Osserviamo che anche i bambini sono sempre più degli utilizzatori autonomi di dispositivi digitali, quali ad esempio il computer, le playstation o gli smartphone per la fruizione di videogiochi. Alcuni di loro già verso la fine della scuola primaria, vengono dotati di telefono cellulare, spesso con funzioni multimediali. La tecnologia digitale è presente in modo così massiccio nella vita moderna che Prensky nel 2001, nel suo celebre articolo “Digital Natives, Digital Immigrants” formulò la nota definizione di “Nativi digitali” per descrivere i ragazzi di oggi  (coloro che fin dalla nascita sono immersi e hanno vissuto a stretto contatto con le tecnologie della comunicazione digitali quali blog , chat, messaging istantanee etc) , distinguendoli dagli adulti definiti invece “Immigranti digitali”.

Dal punto di vista dei Nativi digitali quindi la natura può sembrare meno interessante di un videogioco, della televisione o del web. Secondo lo scrittore e pedagogista Richard Louv (L’ultimo bambino nei boschi. 2006)

“questa (la natura) attiva più sensi: vedere, sentire, annusare e toccare gli ambienti esterni. Mentre i giovani trascorrono sempre meno la loro vita in un ambiente naturale, i loro sensi si restringono e questo riduce la ricchezza dell’esperienza umana”.

Rispetto allo sviluppo delle capacità cognitive, ad esempio, troviamo una recente ricerca (Plos Medicine – Agosto 2020) , effettuata su un campione di bambini in Belgio,  che ha confermato come l’intelligenza sia un fattore influenzato dal vivere in un ambiente ricco di verde: il rafforzamento del Quoziente Intellettivo è uno degli effetti positivi del crescere in spazi urbani ricchi di verde, oltre all’abbassamento dei livelli di comportamenti problematici:  su 620 bambini di età compresa tra i 10 e 15 anni, un aumento del 3% del verde del loro quartiere ha incrementato in media 2,6 punti il loro punteggio nel QI. Questo fatto è stato osservato sia nelle aree agiate sia in quelle più disagiate.

Esistevano già delle prove significative sull’effetto ‘spazi verdi’ nello sviluppo cognitivo, ma questa è la prima ricerca che esamina nello specifico il Quoziente di Intelligenza. 

Ampliando il nostro interesse ai vari aspetti della vita di un bambino nella sua globalità, ci riferiamo al report pubblicato dal Wildlifetrusts sulla relazione “Bambini e Natura” (2019), dal quale emerge come, dopo aver trascorso il  tempo in ambiente naturale il 90% dei bambini abbia riferito di aver imparato qualcosa di nuovo sul mondo naturale, il 79% si è sentito più sicuro di sé, l’84% ha riferito di essere capace di cose nuove quando ci prova e il 79%  che l’esperienza possa aiutare il proprio lavoro scolastico. Il miglioramento nel rapporto con gli insegnanti e con i compagni di classe sono altri fattori riportati dai bambini.

Nel 2018 anche la Società Italiana di Pediatria, nel suo primo documento ufficiale (74° Congresso Italiano di Pediatria, Roma 14 Giugno 2018) sull’uso di media device da parte dei bambini da 0 a 8 anni di età, sottolinea i rischi documentati di una esposizione precoce e prolungata:  disturbi del sonno, della vista, dell’udito, perdita della manualità fine, la generazione di problemi posturali, patologie della colonna vertebrale. L’utilizzo dei media ha contribuito negli ultimi anni a un aumento dei casi di obesità, conseguente alla sedentarietà, all’immobilità a cui l’uso dei dispositivi digitali costringe. 

I nuovi media rendono i bambini capaci di multitasking riducendo però la loro capacità di attenzione e aumentando la difficoltà di concentrazione e di comprensione, aumentando il rischio di sviluppare ritardi del linguaggio e disturbi cognitivi.

La situazione opposta sembra emergere da un continuo e constante contatto con l’ambiente naturale: In mezzo alla natura tutto sembra avere un proprio posto e le parole si trovano con più facilità: l’alternarsi delle stagioni, la morte di una pianta, la nascita di cuccioli. Tutto aiuta i bambini a trovare una risposta anche alle domande più profonde e più urgenti come quelle riguardanti il senso della vita.

La natura possiamo dunque considerarla il luogo di apprendimento per eccellenza. Già all’inizio del secolo scorso Maria Montessori aveva intuito il forte legame che esiste tra infanzia e natura, sintetizzandone nei suoi scritti le infinite potenzialità educative e di apprendimento.

Possiamo citare ancora un autore famoso, Jean Piaget ( un biologo ed epistemologo francese molto importante per aver descritto minuziosamente le tappe dello sviluppo del bambino dalla nascita all’età adulta) il quale, nonostante non sia uno studioso contemporaneo e al tempo dei suoi scritti la tecnologia digitale fosse ancora di là da venire,  nelle sue osservazioni conferma il fatto che un adeguato sviluppo cognitivo può essere facilitato esclusivamente dalla realtà concreta, naturale e non artificiale.

Egli scrive che il pensiero logico nei bambini emerge durante la fase detta “operativa” (età 7-11 anni). In questo stadio il bambino acquisisce certe strutture logiche che gli permettono di compiere varie operazioni mentali. Tuttavia, la loro comprensione della logica è limitata agli eventi concreti. Cioè i bambini in questa fase possono realizzare soltanto le manipolazioni mentali degli oggetti che possono vedere, toccare, sentire, avere un sapore o un odore. Il pensiero logico astratto (che emerge nello “Stadio operatorio formale”) si sviluppa a partire dai 12 anni, ma si fonda su fasi precedenti. Esso è un’evoluzione del pensiero concreto.

In altre parole, per gran parte della loro infanzia, i bambini hanno bisogno di oggetti e di eventi concreti per supportare le loro azioni mentali. Il gioco digitale invece è un’attività ludica svolta prevalentemente su un dispositivo elettronico e mediata da uno schermo che rappresenta il terreno di gioco nonché il compagno, l’avversario e il regolamento. Il digitale rappresenta una simulazione bidimensionale della realtà, manca in altre parole di concretezza, profondità e multisensorialità. 

A conferma delle ipotesi di Piaget troviamo una ricerca del 2017 (Zimmermann L, Moser A, Lee et al. The ghost in the touchscreen: Social scaffolds promote learning by toddlers. Child development) nella quale un gruppo di ricercatori aveva condotto uno studio che coinvolgeva 52 bambini di 30 e 36 mesi con lo scopo di indagare l’apprendimento attraverso le applicazioni sul tablet. In particolare si era cercato di testare l’abilità dei bambini nell’imparare come assemblare un puzzle a partire da una dimostrazione “fantasma” su un touchscreen, piuttosto che da una dimostrazione “sociale”, effettuata cioè da un adulto utilizzando pezzi tridimensionali del puzzle. Solo i bambini a cui era stato mostrato come realizzare il puzzle da un adulto sulla lavagna portarono a termine il compito con successo.

In conclusione, alla luce anche delle ricerche e degli studi sopra riportati non possiamo che affermare quanto la complessità della natura non sia riproducibile da alcun dispositivo digitale, neanche il più sofisticato. L’essere umano, nella sua globalità mente-corpo, è anch’esso un sistema altamente complesso, che ha necessità, per evolversi in modo armonico in ogni sua parte, di continue stimolazioni, interazioni e di una pluralità di sollecitazioni che non è possibile trovare in un ambiente artificiale.

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Psicoanalisi e Climate Change https://www.studiobonzanigo11.it/lapporto-concreto-della-psicoanalisi-al-dibattito-sul-climate-change/ Tue, 27 Sep 2022 14:46:32 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1284 L'articolo Psicoanalisi e Climate Change proviene da Studio Bonzanigo 11.

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Panoramica sul Congresso “The Infantile, Vancouver 2021” I parte

Per provare a dare un assaggio del Congresso partirei dalle parole delle due presidentesse IPA che “virtualmente” si passavano il testimone.

Virginia Ungar nella cerimonia di chiusura ha detto:

L’infantile è una forza viva, è una risorsa di creatività, significa essere aperti al nuovo e portare avanti una speranza di fronte alle difficoltà”.

“Questo congresso ON-LINE è stato un successo perché grazie alla tecnologia siamo stati un esempio di capacità infantile nel far fronte alle difficoltà provocate dalla Pandemia ed è stato possibile sentire un’atmosfera di vicinanza, intimità e rispetto reciproco nonostante fossimo lontani e ubicati nei quattro angoli del mondo”.

Il discorso di Harriet Wolfe nel raccogliere il testimone dalla Ungar sarà centrato su come la psicoanalisi possa aiutare anche la comunità. La sensazione è che stiamo entrando in una nuova era di eventi e forse dovremo abituarci.

I dati sull’attendance del Congresso possono essere collegati a uno dei temi, a mio avviso, più innovativi trattati: la crisi climatica e ambientale.

Dal panel “Climate Crisis” tenuto da Sally Weintrobe e Habibi-Kohlen Deleram emergono nuove e inaspettate motivazioni che spingono per una consultazione psicoanalitica: uomini e donne angosciati perché combattuti tra il desiderio di avere figli ma spaventati dal non vederne il futuro; genitori che portano i bimbi per un assesment perché hanno l’ansia che il mondo finirà nel 2050; persone che soffrono di angosce notturne per le tragedie legate al Climate Change quali inondazioni, siccità, inquinamento atmosferico, cicloni, migrazioni e incendi.

Un recente sondaggio ha riportato che il 40% dei giovani e degli adulti esprime dubbi sull’opportunità o meno di avere figli proprio a causa di queste ansie.

Il problema che questi temiportano non è solo la l’angoscia ma anche l’impotenza nel confronto con chi nega tale emergenza; per cui si cercano analisti che abbiano una “consapevolezza climatica”.

L’analista sarà in grado di impegnarsi empaticamente nel tentativo di comprendere il mondo come lo vede il suo paziente? Come potrà sopportare lui stesso la medesima angoscia?

Irma Brenman Pick ha riflettuto sul fatto che una posizione depressiva non sia adeguata a descrivere l’elaborazione delle realtà attuali che stiamo vivendo ma che abbiamo bisogno di concettualizzare una posizione tragica. A tal proposito ha affermato: “La tragedia è che le difese usate come negazione per evitare il dolore della conoscenza di fatto aumentano e intensificano il dolore stesso che viene evitato”.

L’apporto concreto della psicoanalisi al dibattito sul Climate Change può essere suddiviso in tre piani:

  • Il lavoro clinico, di analisi e ricerca negli studi. Per rimanere sensibili alle persone, in particolare ai giovani che sopporteranno il peso della crisi climatica, dobbiamo restare vigili e valutare se il nostro setting sia diventato un ritiro psichico dalla realtà climatica. Non possiamo risparmiare ai nostri pazienti il ​​dolore di affrontare l’emergenza climatica, ma potremmo essere in grado di aiutarli meglio se comprendiamo noi stessi gli impatti avvertiti di quell’emergenza. E possiamo farlo solo intraprendendo il difficile lavoro di diventare noi maggiormente consapevoli del problema.

  • Il contributo sociale degli psicoanalisti stessi che possono tenere conferenze sul clima e avere una attività pubblica e politica in favore di questa battaglia vitale. La coppia nella stanza della terapia, come in ogni triangolazione edipica, è già inserita nella cultura, nella politica e nell’ecologia. L’analista che dimentica o sceglie di ignorare ciò rischia di trasformare lo stesso setting analitico in una forma di ritiro psichico dalla realtà. Dobbiamo essere attenti ai pericoli di presentare un orecchio sordo e un occhio cieco alle ansie dei nostri pazienti che possono comportare un vortice di fattori esterni e interni.

  • Il supporto ai media che hanno bisogno di comprendere quali meccanismi di difesa (diniego principalmente) i gruppi utilizzano e come migliorare la comunicazione in modo da allentare queste paure e permettere alle persone un reale cambiamento comportamentale. Come analisti abbiamo familiarità con le inevitabili ansie che derivano dalla nostra fragilità umana e sappiamo che le persone usano le difese della posizione schizo-paranoide per aiutarsi a gestirle. Una lente che ho trovato utile è quella dello Human exceptionalism,cioè il paradigma secondo il quale l’essere umano non ha bisogno di una connessione con il mondo naturale o animale. Secondo questa fantasia inconscia l’essere umano con la sua intelligenza e la sua tecnologia potrà risolvere ogni tipo di problema. Una tale visione antropocentrica potrebbe derivare da millenni in cui l’uomo è stato in completa sudditanza della natura e oggi può inconsciamente vendicarsi, distruggendo la madre terra da cui è stato dipendente? Forse il “nostro” Fornari aveva già in qualche modo anticipato questa visione.

Davide Rosso – Torino

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Il dolore di “Pensare” https://www.studiobonzanigo11.it/il-dolore-di-pensare/ Thu, 16 Dec 2021 14:50:47 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1209 Il presente articolo prende le sue mosse dall’esperienza dello scrivente con il mondo della disabilità, che pone inequivocabilmente in contatto con le parti più fragili e più bisognose di attenzioni della società, ma che rispecchiano più di quanto si sia coscienti situazioni nelle quali si potrebbe trovare ciascun individuo supposto “normale”. Facendo riferimento al suddetto […]

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Il presente articolo prende le sue mosse dall’esperienza dello scrivente con il mondo della disabilità, che pone inequivocabilmente in contatto con le parti più fragili e più bisognose di attenzioni della società, ma che rispecchiano più di quanto si sia coscienti situazioni nelle quali si potrebbe trovare ciascun individuo supposto “normale”.

Facendo riferimento al suddetto mondo non possono non venire in mente i concetti, attualmente spesso utilizzati, di “uguaglianza” e “inclusione”, che informano sia l’operato del legislatore che ormai tutto il sistema scuola e non solo. Infatti, nonostante non si possa dire che questi concetti siano sempre applicati concretamente, va riportato come ad oggi siano numerosi i passi avanti effettuati in termini giuridici e forse anche culturali (Viola, 2015).

Si potrebbe quindi affermare, soprattutto in ambito giuridico, che vi sia stata un’effettiva evoluzione di ciò che concerne il riconoscimento di diritti, e questo non solo dei soggetti disabili; d’altronde sono sempre di più le fondazioni, associazioni o enti che nascono con lo scopo in primis di tutelare i diritti e poi anche di fornire servizi alle più svariate minoranze.

Se ci si sofferma su quanto appena detto, l’impressione è che, allargando il focus anche oltre al mondo della disabilità, vi sia una grande attenzione alla soggettività, cioè all’individuo nella sua specificità. In effetti è ormai da almeno circa un cinquantennio che si può cogliere nel contesto socioculturale che abitiamo la sensazione di vivere comunque più in uno stato di diritto che di doveri. Forse riflettendo sulla stessa situazione attuale, nella quale numerose sono state le restrizioni e i vincoli in virtù del protrarsi dell’emergenza pandemica, si potrebbe inferire che gli attriti emersi a più riprese derivino proprio da un conflitto tra il richiamo alla responsabilità, al senso del dovere (anche civico) e la difesa dei propri diritti.

D’altro canto diversi autori psicoanalitici parlano di un tramonto edipico a favore di un’era narcisistica (AA.VV., 2008; Recalcati, 2011), tra le cui conseguenze si può anche annoverare quanto sinora detto a proposito di diritti e doveri.

Ciò su cui ci si interroga però è se tali movimenti socioculturali e la stessa dimensione nella quale viviamo, in cui la specifica individualità sembra essere curata e tutelata, siano effettivamente sempre favorevoli allo sviluppo della suddetta soggettività.

Anche allontanandosi da quanto concerne la tematica del welfare pubblico o privato ed accostandosi al puro intrattenimento non si può non cogliere come l’esperienza proposta dall’ormai sempre più complesso mondo multimediale, tra cui tv, tv on demand e internet, sia comunque qualcosa di estremamente variegato; l’offerta è infatti estremamente ampia e sembra coprire un panorama vastissimo.

Si potrebbe quasi arrivare a dire che sia impossibile non trovare qualcosa che possa interessare, come se qualcuno avesse pensato ad ognuno e ai suoi gusti in maniera specifica. Anche in quest’ambito si respira l’idea di una grande attenzione per l’individualità di ognuno, ma al contempo non si può non notare come tale modalità sembri saturare incredibilmente l’ambiente ed infantilizzare l’utente, si potrebbe fantasticare che qualcuno (in questo caso specifico le aziende che si occupano di Entertainment) abbia assunto un ruolo genitoriale pensando un po’ a tutto ciò che può interessare l’utente interlocutore.

In effetti sembra proprio che l’attenzione alla soggettività pervada costantemente i contesti nei quali ci muoviamo dando l’idea che qualcuno non abbia solo pensato a ciascuno, ma metta anche a disposizione ricette ad hoc che permettono in alcuni casi di saper cosa fare allo scopo di divertirsi, saper cosa fare nei momenti di difficoltà, saper cosa fare se succede qualcosa di imprevisto in una situazione in cui le nostre competenze non sono chiaramente sviluppate perché non è magari il nostro ambito professionale, ad esempio. Infatti è difficile trovare ad oggi qualcuno che non abbia sentito la parola “tutorial”, e non ne abbia mai concretamente usufruito.

Nella società odierna della fibra ottica, dell’alta velocità, soluzioni rapide, la cui efficacia ha comunque una validità, seppur non universale, sicuramente agevolano nella risoluzione di alcuni ostacoli quotidiani, ma il quesito dello scrivente è se tale modalità così in auge in alcuni frangenti non possa anche, se iperinvestita, precludere la possibilità di pensare e quindi di apprendere realmente qualcosa in più.

La stessa soggettività, la cui espressione sembra ad oggi essere tutelata, non viene in qualche modo limitata se si pensa ad esempio a come i social, utilizzando i feed che si lasciano online, propongano nei loro spazi pubblicitari o semplicemente nello scorrere dei post, quanto abbiamo già visto in precedenza?!

Gli algoritmi che permettono a Google o Facebook di svolgere una sorta di rispecchiamento abbastanza sterile, che non fa altro che ricordare all’utente quelli che sono i suoi gusti o le sue tendenze, se da una parte possono fornire un’esperienza rassicurante, dall’altra finiscono con il limitare il panorama e precludere all’individuo esperienze diverse (Sgobba, 2020). Talvolta sembra quindi che la succitata attività di tutoraggio esiti in una sorta di anticipazione dei bisogni dell’utente precludendone il pensiero.

Affinché sia possibile pensare, è necessario che il bisogno del soggetto si confronti con il limite e la mancanza all’interno di una relazione, se non si riesce a tollerare questa esperienza dolorosa diviene difficile poter accedere alla creatività, vera espressione di una soggettività dotata di agency.

(Bion, 1967; Blandino, 2009; Lacan, 1956-57)

Tornando all’incipit di questo articolo, e dunque al mondo della disabilità, è quanto meno opportuno poter contare sulla tutela giuridica dei diritti, ma non meno importante, non solo per i soggetti disabili, ma soprattutto per i loro caregiver, poter contare su spazi relazionali nei quali sviluppare un pensiero, che però non sia figlio di fredde intellettualizzazioni, ma che sia connesso al mondo delle emozioni. Tale è e dovrebbe essere uno degli scopi di una psicoterapia psicoanaliticamente orientata.

Spesso ci si chiede quale possa essere la soluzione ad alcuni problemi e molto semplicisticamente si pensa che uno psicoterapeuta possa fornirla. In realtà il terapeuta non dispensa prescrizioni sostituendosi al paziente nel vivere la sua vita e anche altrettanto poco opportuni sono eventuali scimmiottamenti da parte del paziente rispetto a scelte di campo del terapeuta stesso, ma ciò che può fare uno psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico è aiutare il paziente a sviluppare la propria capacità di pensare attingendo da quel ricco patrimonio rappresentato dalle sue esperienze sensoriali, emotive e mentali.

Dott. Francesco Ventrella

BIBLIOGRAFIA

AA.VV. (2008). Atti del Convegno “Dalla mente di Edipo al volto di Narciso?”, Torino 2008. Bergasse 19. Cultura e cura psicoanalitica. Torino: Ananke Edizioni, 2009.

Bion W. R. (1967). Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma: Armando Editore, 1970 (edizione italiana).

Blandino G. (2009). Psicologia come funzione della mente. Paradigmi psicodinamici per le professioni d’aiuto. Torino: Utet Edizioni.

Lacan J. (1956-57). Il seminario, Libro IV, La relazione d’oggetto. Torino: Einaudi, 1996 (edizione italiana).

Recalcati M. (2011). Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Sgobba A. (2020). La società della fiducia. Da Platone a Instagram. Milano: Il Saggiatore Edizioni.

Viola D. (2015). La disabilità intellettiva. Aspetti clinici, riabilitativi e sociali. Milano: Edizioni FS.

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Lo Studio Bonzanigo 11 supporta il progetto DREAMS https://www.studiobonzanigo11.it/lo-studio-bonzanigo-11-supporta-il-progetto-dreams/ Thu, 10 Jun 2021 10:27:21 +0000 http://www.studiobonzanigo11.it/?p=1178 Dream è una fondazione culturale priva di scopi di lucro che si propone di valorizzare un’attività di fondamentale importanza per l’essere umano: il SOGNARE. Sognare è inteso come un momento di involontario dialogo con il nostro inconscio. La società occidentale sogna sempre meno. È scientificamente accertato che le parti inconsce del nostro essere hanno una […]

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Dream è una fondazione culturale priva di scopi di lucro che si propone di valorizzare un’attività di fondamentale importanza per l’essere umano: il SOGNARE.

Sognare è inteso come un momento di involontario dialogo con il nostro inconscio.

La società occidentale sogna sempre meno.

È scientificamente accertato che le parti inconsce del nostro essere hanno una fisiologica necessità di emergere e manifestarsi, a maggior ragione in una società che ha perso la capacità di interessarsi ed interrogarsi sul mondo interno delle persone.

Lo scopo della fondazione è quello di diffondere l’idea che SOGNARE può tornare ad essere una quotidiana e benefica pratica di igiene personale, promuovendo la riappropriazione del contatto con le parti inconsce dell’individuo.

La verbalizzazione e la condivisione del sogno, aiutando le persone a recuperare familiarità con la propria intimità interiore, permette di:

  • stare meglio con se stessi e con gli altri, consumando meno oggetti (visione ecologica, green\dream economy),
  • avvicinarsi al mondo reale, consumando meno virtuale\social\pornografia.
  • dormire meglio, perché il sogno è il custode del sonno, consumando meno psicofarmaci

La fondazione, insediatasi nella sede Iconica della fabbrica del sogno Olivettiano, si propone come un contenitore protetto e riservato, che ponendosi in una posizione di ascolto sia in grado di stimolare ed accogliere la produzione onirica di adulti e soprattutto dei bambini.

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